“We are still dreaming”: scene da un movimento nei loro interni

Daniela Bezzi

La mostra fotografica, “We are still dreaming”,  che ha inaugurato il Critical WIne negli antichi spazi di Casa Aschieri, raccontata dalla viva voce di chi l’ha generata e prima ancora vissuta, Diletta Bellotti e Matteo Trevisan, per mesi al lavoro sulla stessa rotta, senza neanche conoscersi – si sono incontrati infatti per la prima volta a Casa Aschieri, per l’inaugurazione.

Calato il sipario sulla 12ima edizione del Critical Wine di Bussoleno, cuore della Val Susa, eccoci a sfogliare per un colpo d’occhio l’Album fotografico prontamente postato dal sempre presente Diego Fulcheri: i sorrisi, i brindisi, i Pintoni Attivi, i pizzaioli… le relazioni che di anno in anno si rinnovano, le bancarelle artigianali, gli auto-produttori locali e quelli che da anni non possono mancare all’appuntamento anche da fuori… Una carrellata di volti e situazioni che è un piacere sfogliarla anche per chi (come me) quest’anno non è riuscit* a esserci, e che con qualche apprensione si chiede se potrà mai esserci una prossima edizione. Già, con l’aria che tira… già quest’anno la neo-insediata amministrazione ha negato il patrocinio, ma pensa te -:((…

E naturalmente gli eventi culturali, che anche quest’anno sono stati seguitissimi: Alessio Lega in concerto, come sempre emozionante; la rivoluzionaria vita di Teresa Noce  rievocata nello spettacolo del Gruppo Artemuda; il dibattito in tema di “Morire di pena” con Nicoletta Dosio e Francesco Migliaccio; la coinvolgente riflessione sui flussi migranti dai Balcani a partire dal libro di Gianandrea Franchi “Il diritto di Antigone” in dialogo con Lorena Fornasir, sua compagna di vita e azioni; l’audio libro di Marco Rovelli “Portami al confine”, potente traduzione sonora di tutto quanto sopra; e le “Voci e racconti dal Rojava” con Alessandro Orsetti e l’insegnate Zenyan, tornata da laggiù da poco…

E se non abbiamo ancora detto della Mostra fotografica, “We are still dreaming”,  che ha inaugurato il tutto negli antichi spazi di Casa Aschieri, è solo perché abbiamo deciso di farcela raccontare dalla viva voce di chi l’ha generata e prima ancora vissuta, Diletta Bellotti e Matteo Trevisan, per mesi al lavoro sulla stessa rotta, senza neanche conoscersi – si sono incontrati infatti per la prima volta a Casa Aschieri, per l’inaugurazione.

Lei è laureata in Diritti Umani e Migrazione Internazionale a Bruxelles, ricercatrice per anni presso la Fondazione Osservatorio Agromafie, impegnata sulla lotta al caporalato dopo un importante lavoro di campo nel foggiano che nel 2019 generò una straordinaria (e molto seguita) forma di protesta dal titolo Pomodori Rosso Sangue, un mese in giro per le piazze d’Italia con abito, braccia e gambe grondanti di rosso e il cartello con su scritto “Dal lato dei braccianti sfruttati nelle nostre campagne” e insomma attivista a tutto campo e senza preclusioni di canali: migliaia di followers su Instagram, non si contano le interviste su testate anche mainstream e su You Tube, oltre a un libro che si intitola The Rebel Toolkit, La cassetta degli attrezzi del ribelle e un altro in lavorazione che uscirà fra qualche mese.

Lui è Matteo Trevisan, giovane fotografo con reportage pubblicati dalle più importanti testate del mondo (New York Times, The Guardian, Wall Street Journal) oltre che in Italia, e con premi prestigiosi in CV, in particolare una medaglia al Tokyo Photo Award e al Budapest Photo Award e proprio per il reportage esposto in questa mostra: la foto narrazione sulle giovane leve del movimento NoTav che ahimè le nostre magre risorse economiche non ci consentono di pubblicare… ma basta cliccare qui (che corrisponde al web site dell’autore) e ve la potete godere con tutta calma e leggere pure i testi, che sono molto belli.

Insieme si sono trovati ad essere co-autori (pur senza conoscersi, appunto!) di un bel reportage che uscì lo scorso dicembre sul settimanale L’Espresso, e fece notizia per il fatto di occuparsi di una storia che non fa più notizia da un bel po’: il Movimento NoTav appunto, documentato in tutta la sua insostenibilità e sprechi come “il più grande esempio di resistenza contro speculazione e devastazione ambientale” e illustrato con queste foto che una volta tanto orientavano lo sguardo su dei volti, paesaggi, dettagli significativi per chi ci vive dentro, il sentiment di un luogo sotto assedio – invece delle solite scene di scontri, solo per dire della minaccia all’ordine pubblico dei NoTav.

E non si sa se a causa di quella uscita così controcorrente, o per via di un’inchiesta ancor più esplosiva pubblicata la settimana precedente circa le responsabilità del Gruppo Exor-CNH e nei roghi dell’Amazzonia, quello fu l’ultimo numero ad uscire con la direzione di Lirio Abbate, prontamente messo alla porta dalla proprietà.

Ed ecco che la cornice del Critical Wine ha fornito l’occasione per un ulteriore sviluppo di quel reportage per L’Espresso in forma appunto di Evento Mostra, promossa dall’Ass.ne Culturale La Credenza, e curata in particolare da Roberto Mairone.

Viene naturale chiedervi che cosa vi ha portato a occuparvi del Movimento NoTav: Diletta da anni impegnata su tutt’altro fronti, le agro-mafie, la schiavitù dei tanti invisibili nel foggiano; Matteo che si divide tra Roma e la nativa Gorizia, con lunghe incursioni nei Balcani. Che cosa vi ha portato a un certo punto in Val Susa, alla riscoperta di una storia che, vuoi per la pandemia, vuoi per una precisa consegna al silenzio, è data per archiviata…

We are still dreamingDiletta: Nel mio caso diciamo che è stato inevitabile continuare a sapere del Movimento NoTav, sebbene sia vero che le mie ricerche, in ambito accademico prima e poi sul campo, fossero prevalentemente sul fronte delle agro-mafie, in particolare nel 2018/19 quando, studentessa a Bruxelles, presentai una tesi sul primo movimento migrante in Italia che era quello di Boncuri che ha portato poi alla legge sul caporalato.

E anche dopo, quando iniziando a collaborare con l’Ass.ne NoCap fondata da Ivan Sagnet, leader del primo movimento migrante, mi sono trovata ad indagare il problema del caporalato cercando di capire come avesse un effetto domino sul tutte le altre lotte legate allo sfruttamento della mano d’opera. Ma sia nell’ambito dei miei studi che a livello personale, è naturale che mi trovassi a seguire l’evolversi e le dinamiche di tanti altri movimenti… Quanto alla mia prima visita in valle, avvenne solo nella primavera del 2021, ricordo che era Pasqua: ero con un gruppo di amici, con cui mi trovai a condividere l’ospitalità de La Credenza qui a Bussoleno. Ci tornai poi parecchie volte…

We are still dreamingMatteo: Naturalmente sapevo del Movimento NoTav fin da quando ero studente, con le assemblee alle scuole superiori che frequentai a Gorizia, mia città Natale. Quanto all’idea di occuparmene come fotografo, è successo un po’ per caso, grazie a quel bel libro Fuori dal Tunnel di Marco Aime che mi sono trovato fra le mani aggirandomi tra le bancarelle durante un festival sui migranti, qualche anno fa a Udine.

Leggendolo non ho potuto fare a meno di riflettere sull’eccezionale longevità di questo movimento, nell’arco di trent’anni di storia, e mi è venuto spontaneo interrogarmi circa l’adesione per niente scontata delle nuove generazioni. Cosa significa, per coloro che oggi hanno meno di 30 anni, essere NoTav… rinnovare la forza di questo movimento con la stessa intensità dei loro padri o nonni… o riandare con la memoria ai momenti cruciali di quella storia, che hanno coinciso con la loro prima infanzia?

Qual è il collante che rinnova in loro quella stessa convinzione, nonostante le sconfitte incassate, l’invisibilità ormai data per scontata, la sempre più dura repressione: un’angolazione che mi incuriosiva.

Era il 2020, epoca di pandemia. E comunque prima di decidermi a salire in valle e cominciare a scattare, mi sono documentato a lungo, per capire cos’era questo movimento, al di là delle versioni distorte che ne danno i media. E la mia prima volta in Val Susa fu in occasione dell’anniversario della riconquista di Venaus, 8 dicembre 2021: la prima marcia di nuovo possibile dopo il lungo lockdown. Avevo già preso qualche contatto con alcuni giovani del movimento. Arrivai qualche giorno prima, ci rimasi per qualche giorno ancora e quello fu l’inizio del progetto, che però richiese varie visite successive.

 

E come è stato questo primo incontro, con la valle e con il Movimento?

Diletta: Quando successero i fatti del 2011, la presa della Maddalena, gli espropri in Val Clarea ecc, io ero a Roma ed ero piccola, non ne ho ricordo. Ma comunque la prima cosa che uno sente arrivando qua, è un senso di naturale appartenenza, e non solo perché è una valle che accoglie ma per il fatto di sentirsi appartenere a questa lotta. Il senso di stare da una parte precisa della storia, dalla parte della storia che resiste. Una storia così importante, così ormai invisibile, così non più detta, silenziata, da troppo tempo… che però continua a scriversi da sola. Con o senza i riflettori la storia continua. E questa è una cosa che mi ha ispirato tantissimo.

E dunque è vero che NoTav si diventa, ed è vero che nel momento in cui uno rimette tutte le carte in tavola, e se le riguarda, non può che radicalizzarsi, e capire che cos’è veramente la violenza dello Stato, a che punto può arrivare, pensiamo al 41bis, la repressione sempre più feroce su tutti i fronti, la più insensata devastazione di questi luoghi… In valle ci sono tornata tante altre volte , questa forse è la settima. La prossima sarà per unirmi all’incontro del movimento NoTav da entrambi i versanti della protesta, in Italia e in Francia, che si terrà in Maurienne il 17 giugno prossimo, con la partecipazione dei Soulevements de la Terre, sarà un momento importante.

Matteo: Nel mio caso si trattava di un progetto che stavo per iniziare, per cui mi ero preparato. Ma senz’altro il momento più intenso nel ricordo è proprio quella prima manifestazione dell’8 dicembre del 2021 per commemorare la vittoria del movimento a Venaus di sedici anni prima: manifestazione bellissima, nonostante il freddo, la neve, la marcia da Borgone verso il presidio di San Didero – e impressionante gragnola di lacrimogeni alla fine.

Era chiara in me l’intenzione di non replicare le classiche foto di scontri. Come ho già detto il mio progetto era su un piano di massima intimità, e tra l’altro prevedeva un contributo di scrittura da parte dei giovani che sarei riuscito a fotografare nei loro interni (interni di case, interni di lotta… interni cari al Movimento, per esempio nella borgata de I Mulini), una sorta di diario collettivo di un’infanzia che era diventata adolescenza e poi età adulta dentro il movimento…

Un’indagine oserei dire antropologica (sebbene io non sia antropologo) su cosa avesse voluto dire crescere in un posto così speciale. E posso dire di aver trovato molta… dolcezza. E una grande attenzione e consapevolezza non solo per le problematiche della valle o legate al TAV, ma per tante tematiche sociali e ambientali riguardanti l’Italia e l’intero pianeta. Situazione dunque molto stimolante, benché regolarmente stravolta dai media come teatro di disordini. E un’altra cosa che mi ha colpito, tornandoci più volte è la qualità delle persone, delle relazioni: a volte sembra proprio di essere nell’ombelico del mondo, per esempio l’altra sera ero a cena da un amico e gli altri due ospiti venivano da un paese vicinissimo a dove vivo io in Friuli e e me li ritrovo qui!

Ma per tornare al mio incontro con la valle: ci sono tornato più volte nell’arco di un anno esatto, quella conclusiva ha coincisa di nuovo con l’ultimo anniversario di Venaus, 8 dicembre del 2022. E in quell’occasione gli scontri sono stati pesanti abbastanza da convincermi ad inserire almeno una foto, nella sequenza del reportage.

In contrasto con la narrazione deliberatamente manipolata che i media mainstream hanno continuato a fornire del Movimento NoTav in questi ultimi anni, eccovi co-autori di quel bel servizio sull’Espresso (testata importante!) nel dicembre scorso. Come è nata l’idea? E in che modo i premi vinti da Matteo, a Tokyo, Budapest, hanno contributo alla visibilità della questione TAV a livello internazionale?

Diletta: Premesso che nonostante le tante visite in valle più o meno negli stessi periodi, non avevamo avuto modo di incontrarci, né di sapere l’uno dell’altro… l’idea di quell’articolo fu mia. Con l’Espresso collaboravo già da qualche tempo, il mese prima era uscita una mia (devo dire bellissima) Mappa dei Movimenti che fanno opposizione sui territori nel silenzio dei media e dei partiti, per l’appunto. E sapevo di avere il sostegno del direttore. Dopo quell’ultima manifestazione in ricordo di Venaus cui anch’io ho partecipato, 8 dicembre dell’anno scorso, mi fermai a Bussoleno qualche giorno in più, per documentarmi ecc. e così scrissi il pezzo: per dire la verità! La verità che tutti sanno qui in Val di Susa e che nessuno ha più voglia di sentire, ovvero che quel progetto non è solo insostenibile ma proprio non marcia, è fermo.

Dopo 17 governi, una quantità di studi, sondaggi e lavori preparatori costati miliardi, l’unica cosa che esiste della strombazzata Grande Opera sono sette chilometri di tunnel geognostico, mentre la vera e propria linea per un totale di 114 km sulle due canne deve ancora iniziare. E restano da risolvere persino in sede di progetto non poche incertezze sulle tratte nazionali… per non dire delle iniziali stime di budget (oltre 9 miliardi secondo calcoli che risalgono al 2017!!!) già parecchio lievitare nel tempo e chissà quanto ancora… per non dire delle ‘incertezze’ da parte del Governo francese, considerata tali solo dai vari governi italiani perché è dal 2019 che la Francia dice di non essere interessata alla costruzione di nuove linee,  ma semmai disposta a rinnovare quelle esistenti.

Precisazioni valide quando l’articolo venne pubblicato nel dicembre scorso, e ancor più valide oggi alla luce dei documentati impatti sul fronte ambientale sia per la Val di Susa che sul fronte francese, e per tutti questi motivi sarà importante essere in tanti alla manifestazione del 17 giugno in Francia.

Personalmente credo che le istanze portate avanti dal Movimento NoTav siano talmente importanti, significative e credibili anche a livello internazionale, che basterebbe un po’ più di impegno, la volontà insomma di prendere posizione, dire le cose come stanno, da parte di tanti nostri politici, uomini di cultura, opinion makers, per risolvere una volta per tutte la questione. E invece non succede, e questo è gravissimo. Ma dipende anche noi spingere perché succeda…

Matteo: Sono piuttosto scettico nei confronti di tutto ciò che si definisce Politica con la P maiuscola. Continuo ad essere fiducioso però delle  persone che spontaneamente si organizzano e si muovono dal basso, fuori dai meccanismi del potere e del denaro, contro un sistema economico basato sullo sfruttamento ed il profitto. Quanto al feed back che questo reportage ha ricevuto fuori dai confini italiani, posso confermarti che c’è molto più risposta sulle testate straniere che su quelle italiane, vari editors di importanti giornali americani hanno espresso interesse per questa vicenda – che invece è ormai semi-tabù per le testate italiane: come nomini la parola TAV la reazione è “maddai, a chi vuoi che interessi…”

Un’ultima domanda a Matteo in tema di “Ritratto come strumento di racconto” come hai intitolato il workshop che si è svolto a Bussoleno… E sul titolo: “We are still dreaming”…

Matteo: Vorrei dire innanzitutto dire che sono stato molto contento di quel laboratorio che è stata l’occasione per conoscere un buon numero di fotografi di valle. E quanto al mio modo di lavorare, io non scatto mai foto, soprattutto se sono ritratti, senza chiedere il permesso. Ogni foto nasce da un lungo preliminare in cui mi metto in relazione, cerco di creare un contatto quasi fisico, di fiducia, con la persona che vorrei ritrarre. E poi dipende dalle situazioni, in alcuni casi può svolgersi più velocemente, in altri può richiedere più tempo, a volte delle ore prima di fare il primo scatto. Quanto al titolo We are still dreaming, mi è arrivato a lavoro quasi finito: per dire di questi ragazzi, che nonostante la lotta continui da 30 anni, non hanno perso la speranza.

Info per chi volesse presentare la mostra in altre sedi: lacredenzaassociazione@gmail.com


 

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