Che cosa ha causato l’esplosione del gasdotto Nordstream 1 e 2 lo scorso settembre?

Daniela Bezzi

Quell’esplosione del gasdotto Nordstream che verso la fine di settembre mise fuori gioco le forniture di gas dalla Russia alla Germania e da lì all’Europa intera, ce la ricordiamo tutti. Un progetto che era iniziato nel 2011, frutto di un investimento poderoso a livello anche europeo, e che assicurava alla Germania e da lì all’intera Europa forniture di gas così vantaggiose da rendere possibile la rivendita con ulteriori profitti a mercati terzi.

Il che spiega l’unanime durezza delle reazioni per quello che venne subito interpretato come un attacco terroristico da parte della Russia, in risposta alla politica delle sanzioni. “La Russia vuole creare panico prima dell’inverno, vi vuole tutti al freddo” disse il consigliere del presidente ucraino.” Particolare non da poco: l’impatto ambientale causato dalla fuoriuscita di 155.000 tonnellate di metano in quel tratto di mare che separa il nord Europa della Scandinavia, equivalente alle emissioni di 1 milione di auto nell’arco di un anno.

L’attribuzione di responsabilità alla Russia sollevò non pochi dubbi da parte di non pochi analisti che sottolinearono la stravaganza di un sabotaggio che avrebbe danneggiato in primis lo stesso fornitore, privandola di una linea non indifferente di export. Alcuni tra loro non poterono fare a meno di ricordare una certa conferenza stampa, un paio di mesi prima l’invasione Russa in Ucraina, in cui il Presidente Biden (affiancato da un Cancelliere Scholz quanto mai allineato) aveva previsto, anzi promesso la fine di quel gasdotto, in caso di attacco russo. “In che modo?” gli era stato chiesto dal parterre. “Will do it… lo faremo… promesso” aveva risposto lui con sicurezza luciferina.

Tra le tante voci critiche, la nostra News Letter registrò quella di Jan Oberg dal sito Transcend International che banalmente faceva notare che “sicuramente la Russia era in grado di spegnere il rubinetto del gas senza rischiare così tanto, con un’esplosione di sorpresa in acque oltretutto internazionali…”. Di lì a pochi giorni l’incidente venne liquidato come ‘mistero’, con strascico di speculazioni su circuiti definiti complottisti, e passò in secondo piano rispetto all’emergenza molto reale dei rincari, all’urgenza di trovare fonti di approvvigionamenti alternative, alle recriminazioni sui ritardi di una transizione ecologica degna di questo tipo ecc ecc, sullo sfondo delle sempre più indiscutibili ragioni di armare Zelenski contro la Russia, che oltre a invadere l’Ucraina ci voleva tutti al freddo.

Ed ecco che la settimana scorsa, 8 febbraio, a pochi giorni dall’anniversario dell’invasione della Russia in Ucraina, arriva la notizia che a sabotare il gasdotto sono stati gli Stati Uniti, con la totale copertura della Norvegia, nell’ambito di una arditissima operazione ‘facilitata’ anche dalla Svezia (che non vede l’ora di entrare nella NATO) e concepita dal Presidente Biden in persona.

Tutto ciò è spiegato nei minimi dettagli in un lungo articolo che si intitola “Come l’America ha messo fuori combattimento il gasdotto Nord Stream”, opera di un veterano del giornalismo investigativo del calibro di Seymour Hersh, con all’attivo una quantità di premi prestigiosi, inchieste che hanno cambiato il corso della storia, dalla rivelazione del massacro di My Lai in Vietnam, a quella circa la bufala delle armi di distruzioni di massa di Saddam per invadere l’Irak, alle pratiche di tortura come normale amministrazione nel carcere di Abu Ghraib e tanto altro… E per incredibile che possa sembrare, persino una Grande Firma di tale peso, non avendo trovato accoglienza nel New York Times con cui è solito collaborare, si è dovuto accontentare di pubblicare un simile scoop sul suo stesso blog – diventato subito virale (qui l’articolo nella traduzione italiana diffusa il giorno stesso da giubberosse.news).

esplosione del gasdotto Nordstream

Immagine di Frank-2.0 Schiff U-Boot Joe Biden Bombe Pipeline Nordstream da Flickr | CC0 1.0 Universal (CC0 1.0)
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Un pezzo che sembra il soggetto di un film, e che non essendolo ci mette di fronte a una quantità di inquietanti interrogativi.

Decisivo è stato il supporto della marina e dell’intelligence norvegese, nell’intervento di subacquei altamente qualificati “che, una volta assegnati alle unità militari americane in tutto il mondo, sono in grado di effettuare immersioni tecniche per fare il bene, utilizzando esplosivi C4 per ripulire porti e spiagge da detriti e ordigni inesplosi; oppure il male, come far saltare in aria piattaforme petrolifere straniere, intasare le valvole di aspirazione di centrali elettriche sottomarine, distruggere le chiuse su canali marittimi cruciali” e così via, il lungo articolo è talmente dettagliato e godibile anche per come è scritto, per come riesce a renderci partecipe del lavoro di indagine, che vale la pena leggerselo per intero.

In estrema sintesi ci dice che l’operazione di posa degli esplosivi nota come Baltops 22 è stata effettuata nel giugno scorso, secondo piani già in progress (e coperti dalla più assoluta segretezza) all’interno dell’amministrazione Biden già dalla fine del 2021.

Le varie opzioni prese in considerazione per effettuare il colpo assicurando la massima segretezza, il profilo dei vari funzionari della CIA incaricati, la varietà dei mezzi sottomarini di volta in volta impiegati in acque “pesantemente pattugliate dalla marina russa”, il dilemma circa il punto esatto in cui posizionare gli esplosivi, la necessità a un certo punto di coinvolgere anche Danimarca e Svezia, aumentando il pericolo di fuga di notizie, lo stratagemma di camuffare gli esplosivi in modo da farli sembrare parte del fondale marino… tutto questo ci viene descritto con straordinaria precisione e dovizia di particolari, grazie a uno ‘spifferatore’ molto ben informato, evidentemente interno al team, e che resta chiaramente anonimo.

Fino alla data del 26 settembre 2022, quando un aereo di sorveglianza P8 della marina norvegese, effettua un volo apparentemente di routine e sgancia un boa sonar in grado di diffondere il segnale ai dispositivi sott’acqua, mettendo fuori gioco tre dei quattro gasdotti (due dei quali appena ultimati per aumentare ulteriormente le forniture sui nostri lidi, ma non ancora operativi).

Prevedibile la reazione della Casa Bianca, che ha definito lo scoop “pura finzione”. Meno prevedibili i commenti di scetticismo provenienti dalla stampa (compresa quella cosiddetta liberal) americana, che individua nell’anonimità della fonte, un elemento di debolezza (come se non bastasse il trattamento inflitto a un Julian Assange o John Snowden, per motivare un minimo di prudenza).

Inutile dire che sulla nostra stampa, negli stessi giorni troppo occupata con il Festival di Sanremo, la notizia non è stata neppure registrata, a parte qualche commento, totalmente allineato alla mainstream press US. E a quanto pare la stessa indifferenza si è registrata anche a livello europeo, anche senza San Remo.

La cosa veramente stupefacente resta la totale mancanza di reazione da parte della Germania e del Parlamento EU, per quello che a tutti gli effetti è stato un danno enorme per le nostre economie, oltretutto in un periodo di ripresa post-pandemia. A parte il cancelliere Scholz che era sicuramente informato (come traspare dall’inchiesta) e può considerarsi quindi complice del progetto, lascia senza fiato il silenzio della componente verde del parlamento tedesco, dei media, dell’opinione pubblica in generale, di fronte a quello che oggettivamente è stato un crimine ambientale di proporzioni enormi, e che senza mezzi termini Ray Mc Govern (ex agente di alto livello all’interno della CIA, ormai in pensione ed estremamente critico circa la condotta US nella guerra per procura secondo lui ‘provocata’ in Ucraina) ha definito in una recente intervista al web site Consortium News “un  atto di guerra contro la Germania e contro l’intera Europa”.

Possibile immaginare, anzi sollecitare, un’imparziale Commissione di Inchiesta, su fatti di simili gravità? E’ quanto chiede da giorni il Ministro degli Esteri Russo Lavrov, ripreso con accenti sempre più solidali dagli organi di informazione di quel vasto mondo che si identifica sempre meno con le ragioni dell’occidente, India, America Latina, gran parte dell’Asia, la gravità di quanto rivelato da Symour Hersh è ormai big news ovunque meno che da noi.

Sulla stessa richiesta di chiarimento, si sta organizzando anche la galassia del pacifismo americano, in particolare Codepink.org che andando verso il 24 febbraio, ha intenzione di inondare la Casa Bianca di messaggi, lettere, email, twitter per sollecitare una seria indagine che faccia luce su quanto è successo a fine settembre nelle profondità del Mar Baltico.

E noi, dove siamo? La nostra libertà di informazione non è ancora stata messa in pericolo, o almeno: così sembra. Ma la nostra volontà di essere informati? La nostra volontà di sapere e… capire?


 

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